Di Stefano Bruni (comitato Cnel Istat per i nuovi indicatori integrativi del Pil)
Saranno l’economia della felicità e la misurazione della qualità della vita ad innescare quella “dolce rivoluzione” che serve al Paese? La risposta prova a darla il BES (benessere equo e sostenibile), cioè un nuovo sistema di misurazione del progresso e della felicità della società italiana, proposto già dal 2011 dal Cnel e dall’ Istat.
Anzitutto bisogna capire se sia stata compresa la potenzialità rivoluzionaria di un nuovo impianto di misurazione come quello proposto dal BES, costruito proprio per realizzare una valutazione del progresso del Paese secondo le varie dimensioni della qualità della vita. In particolare è essenziale sapere quanti tra “stakeholders” e “opinion leader” sono consapevoli del fatto che oggi la misurazione dello stato di salute delle economie nazionali non può più essere solo incentrata sugli scambi monetari, sul brent piuttosto che sullo spread, ma deve essere integrata con i cosiddetti costi sociali e ambientali
Insomma, solo con analisi complete e mirate si possono avere diagnosi precise che consentano poi di definire le ricette giuste per i “mali” della società odierna: per curare l’infiammazione del trigemino non si possono usare le stesse medicine che servono per curare l’alluce valgo. Le analisi realizzate dal BES 2014 aiutano, appunto, ad individuare le giuste “cure”. Nell’ultimo rapporto BES – ad esempio – è emerso con forza il problema del lavoro. Il 2013, dai dati raccolti, è stato l’anno nero del lavoro (peggio del 2009): 500 mila occupati in meno con incremento delle disuguaglianze territoriali e generazionali; peggiori indicatori di qualità del lavoro e maggiore presenza di lavoratori con un titolo di studio superiore a quello richiesto dall’attività svolta (22,1% degli occupati); soddisfazione per il lavoro in calo rispetto al 2009 e difficoltà di conciliazione tra tempi di lavoro e di vita che si manifestano in modo intenso soprattutto in presenza di figli piccoli (ogni 100 lavoratrici occupate senza figli, le madri occupate con figli piccoli sono solamente 75).
Tale condizione ha generato conseguenze anche sul fronte della situazione economica delle famiglie italiane: il potere di acquisto per abitante si è ridotto del 12,7% tra il 2007 e il 2013; la spesa per consumi è diminuita in termini reali di oltre il 6% tra il 2011 e il 2013; la quota dei poveri assoluti è aumentata in un anno del 2,3% ed infine la grave deprivazione, cioè l’indicatore che misura il minimo indispensabile per una vita dignitosa, nel 2010 interessava il 6,9% della popolazione, nel 2012 coinvolgeva il 14,5% – 9 milioni di persone in valore assoluto – . Si registra inoltre una diminuzione della quota di Pil destinata alla ricerca e allo sviluppo e un calo delle domande di brevetto del 6,1%: dati che confermano il progressivo gap nei confronti del resto d’Europa. Aumenta la criminalità (soprattutto furti in abitazioni e rapine) e diminuiscono i servizi offerti dai Comuni sia sul fronte socio sanitario che su quello dei trasporti locali.
Malgrado tutto ciò, il nostro resta un Paese dove il valore e l’intensità delle reti di aiuto solidaristico sono vissuti in modo crescente dai cittadini che ne percepiscono il valore di speranza e sostegno alla qualità della vita, soprattutto in periodi di crisi economica. Questo spiega perché nell’arco di dieci anni sono cresciute le organizzazioni non profit (oggi sono più di 50 ogni 10.000 abitanti), ma non spiega una certa trascuratezza della politica nei confronti della sussidiarietà. Visti questi dati verrebbe da pensare che manchino spazi di prospettiva. Non è così! Vero è che la piena consapevolezza dei dati che derivano dalla crisi è essenziale per capire, ma è la certezza della speranza e della felicità ad essere vera leva del cambiamento.
Emergono, infatti, segnali positivi sul fronte della salute: aumenta la speranza di vita italiana che è tra le più alte al mondo, diminuisce la mortalità infantile e quella da tumore degli adulti e rallenta il ritmo di crescita della mortalità da demenza negli anziani. L’Italia ha compiuto passi avanti per la tutela dell’ambiente e sul fronte dell’utilizzo delle fonti rinnovabili per l’energia e, per la prima volta in quarant’anni, ha fatto registrare un netto rallentamento della perdita della superficie agricola utilizzata: esiste cioè una possibilità concreta di conservare paesaggi rurali e di destinarli ad un utilizzo nell’ambito della produzione di alimenti di qualità.
Poi, il “Bel Paese” rimane il “Bel Paese”: più di 33 beni culturali censiti ogni 100 kmq e un numero di siti Unesco che non ha rivali al mondo. Tutto questo contribuisce a far si che, malgrado le difficoltà, il 35% della popolazione indichi con punteggi elevati (tra 8 e 10) la soddisfazione della propria vita, con un confortante basso tasso di pessimismo per il futuro.La felicità come la speranza non si trova sugli scaffali dei supermercati, è in ognuno di noi: all’economista spetta il compito di rilevare i dati, ad ognuno di noi il compito di credere in se stessi e nella propria comunità.