NOTE E INTERVENTI

Il Medio-Evo della Globalizzazione - Riflessioni del Direttore Generale Antonio Corvino

Ancora sul Medio Evo della globalizzazione.

Si possono avere informazioni piu' o meno dettagliate e, più o meno condivise, o anche, più o meno, fantasiose.
E' comunque un dato acquisito ed, invero assai antico, che nel nostro mondo, globalizzato e afflitto da mille e mille patologie, in cui gli abissi della miseria sembrano progressivamente inghiottire pezzi sempre piu' ampi di societa', popoli, nazioni e stati e dove le leve della ricchezza sembrano calamitate da cuspidi sempre piu' alte e isolate, sia in corso una lotta titanica tra bene, male e relative forze.

E' anche assodato che al momento le forze del male, identificate ormai dallo stesso immaginario collettivo, nel potere finanziario piu' o meno deviato, nella plutocrazia arrogante, cinica ed egoista, nelle cupole del potere politico legato a presenze piu' o meno occulte e piu' o meno terrestri ( o extra ), tutte comunque protese verso il controllo di territori (continenti) sempre piu' ampi o addirittura lanciate verso il controllo dell'intero pianeta Terra, sembrano vincenti.

Di contro assolutamente perdenti appaiono le persone comuni, uomini e donne, giovani e anziani. Tutti coloro che un volta le categorie di interpretazione storico/sociale identificavano come sottoproletariato, proletariato, ceto medio, medioalto, intellettuali, studenti, lavoratori. Con essi, interi Popoli , Nazioni e Stati più o meno collocati a sud di qualche Potenza in grado di imporre veri e propri tributi di guerra, sotto forma di vincoli finanziari e fiscali, per il tramite di governi e classi "politiche/dirigenti" piu' o meno corrotte, piu' o meno incapaci, tutte preoccupate di perpetuare, finche possibile, i propri privilegi e la propria sopravvivenza.

Non e' un racconto dell' orrore o una ricostruzione di epopee fantasiose disperse nel tempo passato o futuribile. E' la descrizione magari cruda della realta' che stiamo vivendo in molti paesi della ricca ed opulenta Europa. Certamente nei Paesi del Sud Europa e del Mediterraneo ( per non parlare dei tanti Sud dispersi nei diversi continenti).

Qui la dimensione statuale e' stata derubricata ad entità economico/aziendale, priva di dignità storica e sovranità nazionale, e spinta verso il baratro del default destinato a travolgere tutti. Tutti tranne pochi privilegiati.

Qui individui e famiglie e interi popoli sono chiamati a pagare conti per debiti pesanti ed infiniti contratti non si sa bene da chi, per cosa e per quanti decenni ( secoli). Tasse e tributi crescono quotidianamente mentre i servizi che, secondo le antiche dottrine, dovrebbero essere garantiti da quelli, svaniscono dietro cortine di disavanzi incolmabili, gestioni inefficienti, privilegi, corruzioni.

Intere generazioni di giovani, quantificati oggi in Italia in circa 13 milioni tra i trenta e i quarantacinque anni, sono state sacrificate sull'altare del cosiddetto risanamento futuro.

A costoro e' stato chiesto e viene chiesto di sopportare il carico di un intero Paese. Di farlo andare avanti nelle pubbliche amministrazioni e negli uffici, nella scuola, negli studi professionali, nelle universita', nelle pizzerie, nelle fabbriche e nei negozi, in regime di assoluta precarieta', con salari che conducono alla poverta', alla rinuncia a procreare ( tra qualche decennio la popolazione del mezzogiorno d'Italia, a condizioni attuali costanti, passera' da 21 milioni a 15 mlioni), all'azzeramento di qualsiasi prospettiva! Anzi sottraendo ad essi l'idea stessa di futuro. Cercata, peraltro con straordinaria e diffusa caparbietà, fuori dai confini di casa e con fatiche al limite della sopportazione civile ( se non umana).

I Governanti e coloro che hanno l'onere(!) di portare fuori dalle secche il Paese, continuano ad inseguire obiettivi di equilibri finanziari all'interno di categorie ormai del tutto improponibili/opinabili e fuori da ogni prospettiva efficace.

Il debito pubblico diventa il feticcio cui sacrificare il futuro ( tuttavia affermando di volerlo garantire), mentre il controllo del rapporto tra ricchezza prodotta e spesa, il deficit del bilancio pubblico, rappresenta il feticcio cui sacrificare il presente.

Sullo sfondo la rarefazione della massa monetaria, l'inaridimento dei flussi finanziari, la deriva verso la desertificazione industriale e umana, i guasti di un consumismo per troppo tempo irresponsabilmente ( e pervicacemente) alimentato e sostenuto, gli effetti di una globalizzazione incontrollata e selvaggia.

Il tutto subendo percorsi di rigore finanziario tesi ad arginare paure altrui,più o meno ancestrali e piu' o meno consistenti, di una inflazione, famelica nella propaganda quanto inesistente nella realtà, di fatto sventolata per perpetuare rendite finanziarie assai redditizie ad alcune economie nord europee, mentre la deflazione avanzava fino a diventar reale in Grecia, e assai consistente in Italia e in tutta l'Europa del Sud.

Ma tant'e'! 
L'Italia, diventata virtuosa sotto l'occhio vigile dell'Europa e della troika finanziaria internazionale, ha riportato sotto controllo il deficit di bilancio. Sia pure con pratiche tendenti ad insegnare al cavallo( contribuente) la pratica del digiuno e dell'astinenza!
Sia pure rinviando ad altri tempi l'abbattimento del debito pubblico che continua ad aumentare vista l'incapacità della nazione di accrescere la propria ricchezza.

(1 continua...)

Ancora sul Medio Evo della globalizzazione (2 continua). Il caos creativo

Il groviglio di situazioni molteplici, aberranti e perverse che bloccano l'Italia, i Mezzogiorni d'Europa e l'intero Mediterraneo, rappresenta paradossalmente l'elemento narcotizzante che rischia, se non rimosso, di compromettere la capacità di mettere a fuoco i possibili percorsi di reazione.

Sfiducia e rassegnazione, sia pure frammiste a rabbia repressa da una parte e arroganza e sicumera, sia pure mitigate da propositi di impegno rinnovato dall'altra, rischiano di costituire i binari lungo i quali le vittime ed i carnefici, o se volete la popolazione e chi la governa, continueranno a correre parallelamente, proponendosi più o meno consapevolmente, gli uni come alibi per gli altri.

E' necessario rompere una simile (inconscia?) intesa.

E per fare cio' e' necessario che ciascuno smetta di pensare che l'altro e' l'unico responsabile dei propri guai e di quelli della nazione.
I cittadini, tartassati dal fisco, impoveriti dall'Euro, vittime della corruzione dilagante e del patto perverso tra governanti famelici e plutocrazia diabolica.
I governanti e le classi dirigenti, novelli atlanti, condannati a tenere a galla un paese da sempre li li per affondare sotto il peso di una evasione colossale, di un senso civico inesistente, di una diffusa e spasmodica voglia di approfittare del Pubblico invece che di sostenerlo.

Forse e' arrivato il tempo di guardarsi allo specchio. 
Ciascuno al proprio specchio.
Che ciascuno si concentri su se stesso per scoprire cio' che nel proprio comportamento non ha funzionato rispetto al bene comune e soprattutto cio' che ciascuno deve fare da oggi in avanti.
E senza chiedersi chi deve cominciare prima.

La riscoperta del senso del limite e della misura di cui parlava Camus nel suo "l'uomo in rivolta" e' ormai fondamentale per trasformare il consumismo in consumo responsabile e la globalizzazione in un percorso virtuoso di condivisione delle opportunita' piuttosto che di sopraffazione senza esclusione di colpi.
Secondo Camus i popoli del mediterraneo possedevano proprio nel loro senso del limite e della misura l'antidoto contro la deriva oscurantista dl Nord Europa. 
La luce meridiana del mediterraneo avrebbe bilanciato il buio del Nord.

In tempi piu' vicini a noi, negli anni '80 allorche' cominciavano ad insorgere con particolare virulenza i segnali di una deriva distruttiva poi manifestatisi in tutta la sua portata, Federico Caffe' metteva in guardia contro scelte e provvedimenti di natura economica e finanziaria che non tenessero in conto le esigenze degli ultimi, di coloro che vivevano nelle periferie, di coloro che non erano in grado di badare a se stessi, che sacrificavano il futuro inseguendo un presente costruito sul mito di una ricchezza effimera che sacrificava i servizi ed i consumi sociali.

Ancor prima, negli anni '60, J.k.Galbraith metteva in guardia governi e popoli, contro il rischio di costruire una societa' opulenta ripiegata su se stessa.

Ed Evgenij Zamjatin, all'indomani della rivoluzione di ottobre, nel suo romanzo"Noi" avvertiva i governanti che non vi e' una rivoluzione buona, l'ultima ( la nostra), perché rivoluzione o e' per sempre o non e'. Zamjatin avvertiva anche i cittadini che bisognava scegliere il rischio della liberta' contro la sicurezza e la tranquillità da lobotomizzazione.

E qualche secolo prima, Machiavelli, avvertiva i principi che il potere appartiene ai popoli e ad essi va riconsegnato una volta assolto il compito, pur meritevole ed arduo, di rimettere a posto i conti dello stato. 

Ecco forse e' arrivato il tempo ripartire da questi pensieri. 

Abbiamo bisogno di tornare a Eraclito e a Zarathustra , di dichiarare la morte del pensiero unico, di tutti i pensieri unici e inerpicarci lungo i sentieri della scoperta consapevole e della volonta' che abbatte idoli e ostacoli.

Forse e' arrivato il tempo del caos creativo. 
Il tempo in cui ciascuno rinuncia a cio' che e' consolidato, scontato e nel momento più difficile mette in campo il coraggio, la follia, la voglia di segnare il nuovo.

L'intelligenza che si muove sul web, la straordinaria, inestricabile rete che tesse relazioni infinite e ormai indissolubili tra individui, popoli, nazioni e continenti, gli orizzonti aperti dalla scienza e dalla tecnica, la riscoperta della bellezza, della cultura e dell'arte in un mondo non necessariamente segnato dal rapporto conflittuale tra l'uomo e la natura, Il richiamo della Terra da custodire , il ritorno all'agricoltura e alle attivita' a misura d'uomo, sono tutte leve destinate ad alimentare il caos che contiene gli elementi per un ritorno all'umanesimo, per dare spessore e consistenza alla mutazione che si pone alle spalle l'eredita' del medioevo della globalizzazione che da' vita ad un nuovo big bang, ineluttabile, come quello di Calvino, Italo Calvino, ma fatto di poesia, di leggerezza , ironia oltre che di scelte e determinazione necessarie ad assecondare i nuovi equilibri cosmici ed umani. Storici.

Quindi non piu' rassegnazione e pessimismo, ma fiducia e ottimismo nella consapevolezza che coloro, le generazioni che si sono fatte carico di tenere in piedi interi paesi come l'Italia, La Grecia, gli altri paesi del Mediterraneo, cui qualcuno aveva provato a sottrarre financo l'idea di futuro, sono in grado di restituire appunto il futuro a se' e ai propri figli e alle nazioni tutte intere.

(2. continua)

Il Medio Evo della globalizzazione. Oltre le leadership mediatiche.
(3 fine)

Oggi le leadership, i personaggi, i decaloghi si formano, nascono, e si declinano nei salotti tv.
Sono venuti meno i meccanismi di creazione e selezione delle classi dirigenti all'interno di gruppi piu' o meno spontanei, più o meno organizzati, comunque autentici e basati su interessi, sensibilità, percorsi, attività condivise e proiettate alla elaborazione di idee, percezioni, dubbi, teorie, paradigmi sulle problematiche le piu' varie, culturali, artistiche, teatrali, letterarie, sociali, scientifiche, politiche, economiche....

Il grande teatro moderno e d'avanguardia e' nato intorno a grandi discussioni/sperimentazioni fra gruppi di persone che si ritrovavano magari negli scantinati ( Carmelo Bene) o nelle strade ( Eugenio Barba) o in spazi marginali ( Strehler, Fo ) e li' nascevano le grandi leadership culturali.

Per la letteratura esse nascevano nelle redazioni dei giornali, delle riviste, delle case editrici. Vittorini, Calvino, Panunzio, Scalfari....

Per la scienza si formavano nei laboratori e nelle aule universtiarie. Fermi, Majorana, Dulbecco, Rubbia, Zichichi....

Nella musica all'interno dei conservatori e dei teatri. All'interno di garage e sottani.
Abbado, Muti....il jazz, il pop...

Nelle piazze, nella fabbriche, nelle campagne, nelle scuole e nelle università, nelle parrocchie, nelle scuole di partito e del sindacato, nelle sezioni e nelle associazioni, nelle piazze, le piu' varie e disparate si formavano i leader globali. 
Croce, Gramsci, Togliatti, De Gasperi, Anselmi, Moro, Dossetti, La Pira, Rosselli, Nenni, Pertini, La Malfa, Lama.... Sono nati tutti li.

Oggi quei meccanismi si sono inceppati.

Il potere invasivo, onnipresente e onnipotente della TV spazzatura ne ha decretato la morte.

La TV che ha ormai dismesso il ruolo di veicolo della cultura nazionale ed internazionale, esercitato in maniera straordinaria negli anni '50 e '60, con la proposizione dei grandi film e la riduzione dei grandi romanzi, l'invenzione delle grandi riviste e spettacoli, la rappresentazione del grande teatro, la diffusione della scienza e della cultura, la valorizzazione di espressioni e talenti artistici e creativi i piu' vari (Pino Pascali...... ). 
La diffusione stessa della lingua italiana in un paese che stentava ancora a sentirsi uno e che parlava ancora infinite lingue e dialetti diversi.

La TV oggi produce pubblicità, spesso becera e tutta protesa a sostenere il consumismo , l' esibizionismo. E l'indebitamento come via per praticare entrambi.
Intrattenimento di infimo ordine e diffusa volgarità. E leader.

Tutti i leader oggi in campo hanno trovato nella TV e nella dimensione mediatica la loro consacrazione. Nessuno escluso, a destra e a sinistra. Almeno da 20 anni a questa parte.
Non sfuggono a tale regola nemmeno gli attuali leader, vecchi e giovani , che oggi si contendono la scena nazionale.

Le scuole di partito non esistono piu! Non esistono piu' nemmeno i partiti ed anche i sindacati vivono un crepuscolo inelluttabile.
Le associazioni, una volta cuore della vita sociale, sono ridotte al rango di supporter, buone magari a garantire claque e applausi a comando.

Lo studio, l'approfondimento, l'elaborazione critica, l'impegno e la ricerca in tutti i campi, culturale, scientifico, sociale.....pure presenti nel nostro paese, sono frutto di sforzi e scelte personali al di la' e al di fuori di ogni dimensione collettiva. E financo istituzionale (dove sono la Scuola e l'Università, e i Maestri?).

L'Italia e' diventato paese di eccellenze, isolate e tuttavia presenti nella musica, nell'arte, nella letteratura, nel sapere , nel sociale (tranne che nella politica).
Ma stiamo comunque parlando di picchi che non fanno media/paese.
E la media, che e' quella che fa grande o piccolo un paese, e' bassissima in tutti i campi.

E' frequente il caso di incontrare, persino all'università, gente che combatte ( perdendo,irrimediabilmente) con i congiuntivi e gli ausiliari. Per non parlare dei pronomi relativi usati a sproposito e degli anacoluti disseminati con dovizia imbarazzante e indisponente.

La lingua si imbastardisce sempre di piu' e diventa lo specchio di una societa' allo sbando che nasconde la sua ignoranza e le sue insicurezze dietro inglesismi piu' o meno corretti e piu' o meno appropriati, sempre inutili.

La societa' liquida di cui parla Zygmunt Bauman invece di pervadere e fecondare esperienze, valori e situazioni le piu' varie e disparate, rischia di diluire e sciogliere ogni cosa.

Ecco e' il tempo di ritrovare e rimettere in campo nuovi meccanismi di elaborazione culturale, civile, sociale che diano luogo alla formazione di una nuova classe dirigente in tutti i campi del sapere, della cultura, dell'impegno civile, sociale, politico.
Lontano dalle deviazioni mediatiche e televisive appannaggio di presunti e presuntuosi portavoce ( front office men), dietro i quali si nasconde il nulla o peggio si stratifica una rabbia incapace di elaborazioni critiche e di rappresentazioni alternative e coerenti.

Tocca a quei 13 milioni e piu' di giovani ( e meno giovani) che tengono in piedi questo paese in regime di diffusa e palese precarietà, assumersi la responsabilità e l'onere di ripristinare e/ o ricreare i meccanismi giusti, nuovi e necessari, senza scorciatoie, senza nascondigli e/ o paraventi mediatici .

Tocca ad essi assumere direttamente il compito e l'onere di confrontarsi, magari nelle mense aziendali, nei momenti e luoghi post lavoro, a latere degli studi professionali o nelle periferie, nelle fabbriche e nelle universita' o nelle scuole o nei luoghi piu' vari e impensati e con gli strumenti piu' adeguati.
Riunendosi, parlando, cercando, teorizzando, stringendo reti di amicizie e lasciando che si creino delle nuove, vere leadership, non di plastica o false e patinate, ma autentiche, fatte di passioni, di sensibilita' di esperienze, di sofferenze e gioie, di capacita' di capire ed elaborare e rappresentare per se' e per gli altri il futuro da (ri)costruire.

E' davvero fondamentale, anzi indispensabile, per imboccare la strada che porti fuori dal Medio Evo della globalizzazione e conduca verso il rinascimento prossimo venturo.
( 3 fine)